Può la città in cui vivi influire nel tuo modo di comunicare?
Ti rispondo di sì, almeno nella mia esperienza personale.
A Roma ho imparato a comunicare in un modo, a Milano in in altro.
E può il Paese in cui sei nato definire il modo in cui ti approcci con il resto del mondo?
Anche in questo caso, ti rispondo di sì.
Anche dopo diverse settimane dal mio arrivo a Tokyo rimanevo completamente stupito di come i giapponesi si salutavano e di come mostravano le loro emozioni. Non un abbraccio, non un bacio sulla guancia, non una pacca sulla spalla.
Li consideravo degli automi.
Pensa che è la stessa impressione che ha avuto mia moglie Angélica durante i suoi primi mesi qui a Milano.
Lei, nata in una città andina del Venezuela e poi cresciuta nella sua capitale, Caracas, concepiva l'abbraccio come parte della comunicazione, anche in ambiente lavorativo, tra colleghi.
In un recente viaggio per turismo a Copenaghen, mentre aspettavo il volo di ritorno, mi son divertito ad osservare la comunicazione delle persone attorno a me.
I danesi e gli altri nordici quasi non gesticolavano e parlavano a voce moderata, per non dire bassa.
Impossibile non riconoscere gli italiani!
Se a volte ci può risultare difficile comunicare e comprendere chi parla la nostra lingua ma è nato in una città lontana dalla nostra, immagina chi è nato in un altro Paese, e la nostra lingua la conosce bene oppure la sta imparando a conoscere.
La comunicazione interculturale parte proprio dalla curiosità di voler capire e comprendere una cultura diversa dalla nostra.
“Lo straniero vede solo ciò che conosce”, dice un famoso proverbio africano.
Senza l’avvio di questo processo di scambio di pensieri e significati non è possibile ridurre quelle barriere, psicologiche e non fisiche, che ci limitano nell’accogliere l’altro.
La comunicazione interculturale ci aiuta a trasformare uno straniero in uno di noi.
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